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“…nel mio silenzio anche un sorriso può fare rumore…”

 

In questi giorni di festività si è molto sentito parlare di “valori”: quelli religiosi, ma anche quelli civili; quelli familiari, ma anche quelli culturali; quelli delle tradizioni, ma anche quelli, più banalmente “futili”, del colesterolo, messo peraltro a dura prova nelle battaglie (perse in partenza, peraltro) combattute a tavola. Ce n’è uno, però, che se non è scomparso, quantomeno è dimenticato; uno che in questi giorni dell’anno tutti dovremmo tentare di recuperare per il ruolo che riveste nel garantire l’equilibrio sia individuale che sociale: il valore del silenzio.
Ecco, arriva il momento in cui si desidera il silenzio, lo si esige, lo si reclama, lo si pretende come diritto inalienabile. All’interno della società civile ha pari dignità dell’informazione e della comunicazione: anzi, è a sua volta una forma di comunicazione. Si trasforma in valore quando lo si invoca per porre fine allo scempio che le parole sono in grado di compiere se diventano troppe, inutili e dannose, o anche solo gridate come oggi, mai come in questi ultimi tempi. Travolti da uno tsunami di retorica, messaggi vuoti, menzogne, sarebbe bello se ritrovassimo in questo inizio d’anno il coraggio di tacere e far tacere, il coraggio del silenzio. Per tirare il fiato, ripristinare la verità, leggerci dentro per vedere se c’è rimasto qualcosa. Qualcosa che sia vita, intendo dire.
I media ci incanalano sui loro binari e ci costringono nella notte buia e tempestosa del nostro quotidiano. Quanti e quali regali, a Natale? Come ci si cura da un raffreddore? Come sarà l’albero di Natale dei Vip? E l’oroscopo per il nuovo anno? Le mete degli italiani in vacanza? La crisi c’è, anzi no, forse non c’è, dipende: compare e scompare come in uno spettacolo di trasformismo nelle mani di un abile illusionista. Se poi nevica in inverno (come quando c’è caldo torrido in estate) ci dicono che andiamo in panico collettivo. Per non parlare delle devastanti profezie degli “esperti” che su clima, mercati, consumi e sviluppo sparano numeri e proiezioni temporali che regolarmente, dopo qualche mese, vengono smentite dai fatti. Ci intossica, ogni giorno, la politica che lancia proclami e  si battibecca su piccoli e grandi temi, su veri o falsi problemi. Dunque, per disintossicarci, dobbiamo trovare al più presto una terapia efficace, d’urto o lenta non importa, l’importante è iniziare a sottoporsi alla cura.
Un po’ di silenzio.
Certo, chiedere un mesetto di televisioni oscurate, di stampa in bianco, di sigilli a conferenze, dibattiti, salotti buoni e meeting è pura utopia,  anzi rischia di evocare fantasmi di odiosi regimi del passato, ma è pur vero che ognuno di noi deve almeno provarci, a recuperare la giusta dimensione delle cose. Perché il rischio è reale, ed è quello di diventare sempre più sordi per il troppo rumore, ciechi per eccesso di immagini, rassegnati al peggio del peggio soltanto per sopravvivere. Si tratta cioè di capire se tutto questo avviene perché è un nostro bisogno collettivo o, viceversa, questo è ciò che ci viene offerto e noi, in base al collaudato processo di evoluzione adattativa, diventiamo inconsciamente “bisognosi”.
Il dilemma è quello dalla notte dei tempi: è nato prima l’uovo o la gallina?
Proviamo a vivere un inizio d’anno lento e silenzioso. Parole poche, ma buone, come in un film di Antonioni. E dato che non possiamo formattarci o resettarci, proviamo anche nel nostro piccolo una scommessa con noi stessi, uno “yes, we can!” verso il nostro “dentro”: chè, alla fine, basta crederci davvero [e buon 2009 a tutti quelli che passano da queste rive].